IRENE FERRARA
IRENE FERRARA, LA “MAST ‘E FEST” DI SECONDIGLIANO: “IL SUCCESSO PIÙ GRANDE?
ESSERE UNA BRAVA PERSONA”
La nostra prima intervistata è Irene Ferrara, nata e cresciuta a Secondigliano,
uno dei quartieri della periferia di Napoli. Dopo aver conseguito la laurea in
‘Scienze della Comunicazione’ presso l’Università degli Studi ‘Suor Orsola
Benincasa’, Irene ha intrapreso la carriera di DJ, o come si descrive lei
stessa, ‘Mast e fest’. “Durante l’università ho fatto uno stage in una radio nei
pressi di Secondigliano. Mi dissi: ‘perché non provarci?’”. E così è iniziata
una carriera nella musica e nell’organizzazione di eventi che l’ha portata a
collaborare con diversi artisti di fama nazionale e internazionale, tra cui
Snoop Dogg, Chris Brown, Planet Funk, Almamegretta e 99 Posse. La sua musica ha
animato eventi di rilevanza internazionale. “La periferia mi ha portato davvero
bene – ha detto – Sono nata a Secondigliano, lì ho incontrato la radio per la
prima volta ed è da lì che è tutto iniziato”.
DALLA RADIO DI SECONDIGLIANO AI GRANDI PALCHI INSEGUENDO LA PASSIONE
“Chiaramente, all’inizio, era visto come un lavoro precario, quindi mi dissero
che dovevo viverlo come una passione. Era così anche per me, non era una vera
forma di sostentamento”. La famiglia di Irene però comprese quella passione e la
sua volontà di intraprendere una carriera nell’ambito musicale. “Penso che il
mio ambiente sia uno dei più autentici – ha continuato dicendo – c’è molta meno
competizione di quanta ce ne sia in molti altri lavori”.
“IO SONO NATA NEL BORDELLO DI SECONDIGLIANO, SOLO DA LÌ POTEVO USCIRE COSÌ”
“Secondigliano ha indubbiamente influenzato la mia vita, soprattutto sulla
qualità dei rapporti che ho avuto – ha detto – A Secondigliano c’è un’altra
aria, è casa, è famiglia. In periferia si sente che c’è voglia di fare squadra.
Non sei mai solo”. Irene ha ricordato la sua infanzia a Secondigliano fatta di
spensieratezza e sabati pomeriggi al cinema “quello con le poltrone scomode”. E
poi il circolo di Rifondazione proprio di fronte casa. “Era per noi un ritrovo
di amici – ricorda – scaricavamo musica perché a casa non avevamo nemmeno il
computer. Lì condividevamo anche questo. Erano bei momenti”. Oggi non abita più
lì, per esigenze lavorative si è spostata in centro, ma è lì che sono le sue
radici. “Fortunatamente Secondigliano era sempre pieno di gente, semplicemente
un quartiere di bordello e solo da lì potevo uscire”.
Guardando al suo quartiere oggi, Irene riconosce che è molto cambiato: tante
cose sono migliorate e tante attività sono state aperte. “Torno spesso a
Secondigliano perché parrucchiere e dentista non si cambiano mai – scherza – Lo
trovo più sicuro e più vivo. Ci sono tante attività. I mezzi pubblici funzionano
meglio e tra poco ci sarà anche un’altra metropolitana. La trovo vivibile, con
prezzi abbordabili e c’è quel pezzo di umanità dai tempi calmi, come le signore
che vanno a fare la spesa, che in centro non vedo. Anche io, per esempio, ora
abito a un passo dal mare ma non lo vedo mai. Lo scorgo solo se sto andando a
fare un’altra cosa.
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“MI SONO ISPIRATA A ME STESSA”
“Trovarmi a stretto contatto con i miei idoli, tra tutti Cristina D’Avena, mi ha
emozionato tantissimo- ha raccontato Irene, seduta sul divano di casa sua con le
gambe incrociate – quegli episodi li ricordo con particolare emozione. Già solo
per quello ho capito che ne valeva la pena”. E la sua casa è piena di piccoli
oggetti, foto e ricordi, che raccontano la sua vita, la sua storia e le sue
passioni.
“Forse mi sono autoisprata”, ha detto. Durante l’intervista ci ha raccontato di
aver visto dei suoi video, nel pieno delle crisi esistenziali a fine percorso
universitario, dove ballava e cantava e delle playlist da lei create e così ha
deciso di buttarsi. Lo ha fatto poiché crede che “vivere per quello che sei
portato a fare, quello che ti fa felice, è fondamentale”. Di certo, durante i
nostri percorsi di studi o nella nostra carriera lavorativa, cerchiamo di
ottenere successo, puntando sempre a raggiungere il massimo nel nostro campo. Ma
che cos’è realmente il successo? Per Irene è “sicuramente essere una brava
persona – ha aggiunto – svegliarsi e capire di star facendo le cose in maniera
giusta per me, restare fedele a me stessa, senza ingannarmi. Il successo più
grande è la serenità”.
“TORNARE ALLE ORIGINI SAREBBE UNA BUONA TERAPIA PER RISOLVERCI”
Irene racconta di non avere un oggetto porta fortuna perché non è legata agli
oggetti, ma di una cosa non può fare mai a meno: la pinza per i capelli. “Sono
vanitosa ma mi piace scatenarmi in console, ed è per questo che con me non
mancano mai un paio di pinze per i capelli”. Durante tutta l’intervista, come da
noi richiesto, Irene ha disegnato su un foglio. Le abbiamo chiesto di
rappresentare con un simbolo questo momento della sua vita. Lei ha disegnato un
fiore. “Mi piace la natura, sono appassionata, sono anche vegetariana – ha
spiegato – e poi per me rappresenta un ritorno alle origini. Tornare alle
origini, intese come un ritorno alla semplicità, sarebbe una buona terapia per
risolverci all’interno. È un augurio che faccio anche a me. Non è una cosa
semplice”.
Irene Ferrara ci ha salutati con l’augurio di rivederci presto e di organizzare
una serata al MOSS – Ecomuseo diffuso di Scampia: “Portiamo la musica dentro i
musei, organizziamo una bella festa all’ecomuseo”. E noi saremmo felicissimi di
scatenarci sulle sue note. La carriera di Irene Ferrara è solo una delle tante
che vogliamo raccontarvi. Siamo già al lavoro per portarvi e raccontarvi altre
storie di persone che ce l’hanno fatta. Persone di successo, ma un successo
inteso proprio come lo descrive Irene: un successo che non è altro che la
soddisfazione e l’onestà personale.
SPINA TREMULA
MOSTRA FOTOGRAFICA DI MARIO SPADA E GAETANO IPPOLITO
A SCAMPIA “SPINA TREMULA”, LA MOSTRA FOTOGRAFICA DI MARIO SPADA E GAETANO
IPPOLITO
Dal 24 ottobre al 15 gennaio 2025 sarà possibile visitare gratuitamente la
mostra fotografica dal titolo “Spina tremula” di Mario Spada e Gaetano Ippolito,
allestita negli spazi del centro Chikù. La mostra, curata da Chi rom e…Chi no e
finanziata dal Comune di Napoli nell’ambito della programmazione di arte
contemporanea 2024, vedrà il coinvolgimento di 15 giovani della città in un
laboratorio di narrazione e sulla fotografia stenopeica condotto da Mario Spada.
Giovedì 24 ottobre è stata inaugurata presso il centro Chikù a Scampia, in Largo
della Cittadinanza Attiva, la mostra fotografica di Mario Spada e Gaetano
Ippolito dal titolo “Spina Tremula”, nata da una idea di Chi rom e…Chi no e
Mario Spada e promossa e finanziata dal Comune di Napoli nell’ambito della
programmazione di arte contemporanea 2024.
La mostra intreccia e mette in dialogo le fotografie dei due autori, due sguardi
sulla città di Napoli che attraversano trenta anni di storie, strade, persone,
piccole fatiche quotidiane, grandi eventi. L’esperienza di lungo corso del
fotografo Mario Spada, che con la sua fotografia racconta con precisione e cura
i molteplici mondi in cui si immerge, creando una forte relazione tra le
immagini, i suoi soggetti e gli spettatori, si confronta con l’opera del giovane
Gaetano Ippolito, che con lui si è formato e che ha trovato una sua cifra
stilistica nella costruzione di ritratti di città con le sue presenze
evanescenti e nella decostruzione di stereotipi.
Il progetto espositivo punta a essere metafora del dialogo intergenerazionale,
attraverso l’esposizione di archivi fotografici e la documentazione di una città
esposta e contemporaneamente nascosta. I lavori ripercorrono diverse fasi della
vita degli autori e della città e, pur scorrendo parallelamente e con
indipendenza artistica, creano una continuità visiva e temporale.
“Il percorso tracciato dal primo Bando Arte realizzato dal Comune di Napoli
arriva a Scampia con il progetto di Mario Spada e Gaetano Ippolito, che
abbraccia pienamente gli indirizzi di politica culturale tracciati
dall’Amministrazione Manfredi contribuendo alla visione di policentrismo urbano
che da tempo si sta attuando nella nostra città”, dichiara Sergio Locoratolo,
coordinatore delle politiche culturali del Comune di Napoli. “Affabulazione, il
Maggio dei Monumenti, questa mostra e tutte le attività culturali realizzate
negli ultimi tre anni stanno dimostrando che il policentrismo non è uno slogan,
ma è la sintesi di una realtà che andava solo sostenuta e svelata. Napoli è
città dai molti centri, perché ogni quartiere sa esprimere creatività, idee,
storia, bellezza”.
LA MOSTRA – L’allestimento, visitabile gratuitamente dal 24 ottobre al 31
dicembre 2024, è accolto dal centro Chikù (aperto dal lunedì al venerdì dalle 9
alle 15, gli altri giorni su prenotazione al numero 081 014 5681 e 3931559433),
attraversato abitualmente da un target intergenerazionale di provenienza locale,
cittadina, internazionale, e sarà realizzato in collaborazione con il Moss,
primo ecomuseo diffuso Scampia, spazio di memoria viva che raccoglie patrimoni
di comunità in continuo movimento, e che mette insieme arte pubblica, processi
laboratoriali e sperimentali di pedagogia, socialità, intercultura e
convivialità.
IL WORKSHOP DI FOTOGRAFIA STENOPEICA – Il progetto si caratterizza per la forte
innovatività data dall’incrocio dagli sguardi di due fotografi apprezzati dal
pubblico contemporaneo appartenenti però a generazioni differenti, che riescono
a raccontare margini e periferie di Napoli intesa come una qualunque città
contemporanea. La mostra diventa, così, punto di partenza di un percorso di
inchiesta sociale a cura di chi rom e…chi no, che vedrà il coinvolgimento di 15
giovani della città, attraverso una call pubblica lanciata a fine ottobre, in un
laboratorio di narrazione e sulla fotografia stenopeica condotto da Mario Spada,
per raccontare con tempi lunghi di osservazione critica un quartiere che si
trova ad affrontare un passaggio di trasformazione epocale.
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LA SCATOLA MAGICA
WORKSHOP DI FOTOGRAFIA STENOPEICA
A CURA DI MARIO SPADA
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WORKSHOP DI CARTOGRAFIA CRITICA COLLETTIVA
A CURA DI
Kollektiv Orangotango
DATE
9-11 aprile 2022
TRASFORMAZIONI
Nelle giornate del 9, 10 e 11 aprile 2022 nello spazio Chikù e in giro per
Scampia si è tenuto il workshop di cartografia critica collettiva condotto da
Paul Schweizer e Linus Gerstner, geografi dell’Università di Francoforte, per
Moss – Ecomuseo Diffuso Scampia.
Insieme ad un gruppo di giovani, ricercator@, appassionat@ di cartografie,
abbiamo provato a mappare le trasformazioni che hanno attraversato il territorio
di Scampia attraverso la raccolta di suoni, storie e immagini.
Abbiamo raccolto testimonianze del passato di Scampia, racconti del presente e
soprattutto del futuro che vedrà Scampia ancora in cambiamento.
GIORNATA DELLA MEMORIA 2025
Nel Giorno della Memoria, vogliamo ricordare anche un genocidio dimenticato per
anni e riconosciuto molto tardi, quello di rom e sinti, con il termine Porrajmos
che in lingua romanì significa “divoramento” oppure Samudaripen che significa
“tutti morti”. È una storia di cui ancora oggi faticosamente si sta ricostruendo
la memoria, una memoria non scritta, grazie a gruppi internazionali di storici e
appassionati, secondo i quali morirono almeno 500mila persone.
Chi rom e…chi no ha partecipato al progetto internazionale Tracer –
Transformative Roma Art and Culture for European Remembrance – iniziativa
biennale finanziata dal programma Europeo Cerv per sensibilizzare soprattutto le
nuove generazioni sull’importanza della memoria condivisa di questa tragedia.
Per il gruppo di Napoli, il progetto Tracer è stata una lunga immersione in
acque sconosciutissime.
Le ragazze e i ragazzi che hanno costituito il gruppo, ci hanno seguito con
fiducia e curiosità in una avventura storica che fino a quel momento non
conoscevano e non li aveva riguardati se non in maniera indiretta. Per entrarci
e iniziare a percorrerla abbiamo dovuto articolare un lungo e comprensibile
percorso pedagogico artistico, culturale.
Seconda generazione di rom migranti dai paesi della ex Jugoslavia, in
particolare Serbia, Macedonia, Bosnia, Croazia, alcuni di loro già genitori di
una terza generazione di piccolissimi, i giovani di Napoli hanno portato con
coraggio tutto il proprio vissuto di abitanti dei campi informali dell’area
metropolitana, da Scampia a Giugliano in Campania, con tutto ciò che ne
consegue.
Figlie e figli, nipoti di nonne e nonni che sono dovuti scappare dalla guerra
nei Balcani, conservano nella memoria e nei racconti familiari soprattutto il
vissuto delle pulizie etniche e il trauma della cancellazione di interi paesi,
archivi, anagrafi, che si ripercuote ancora oggi sulla questione dei documenti e
sulla difficile trafila per ottenerli, nonostante siano nati qui così come i
loro figli.
Il racconto dell’Olocausto e del Porrajmos/Samudaripen è iniziato come una
favola macabra che si svolgeva in un passato fumoso, fino a che piano piano non
si sono definiti i contorni attraverso l’utilizzo di materiali audiovisivi, la
raccolta di testimonianze dirette, in particolare di esponenti delle comunità
rom e sinte di altre regioni d’Italia, e infine il viaggio ad Auschwitz che ha
materializzato le parole dolorose, la sofferenza indicibile, le storie di
comunità disgregate e di vite colpite a morte da un disegno istituzionale
atroce, che oggi, finalmente e faticosamente si cercano di portare alla luce.
Con persone di tutta Europa e un gruppo di giovani rom e italiani provenienti da
Scampia e Giugliano, abbiamo visitato Aushwitz dove nel blocco numero 13 erano
state internate le famiglie rom e sinti. Lì è conservata la memoria e le storie
di famiglie normali che vivevano tranquillamente in Germania fino all’avvento
del nazismo e del terribile “registro della piaga zingara”.
Tra queste c’era la famiglia Rosenberg, che viveva a Berlino. Quando i nazisti
decisero di “ripulire la città dagli zingari” per le olimpiadi del 1936
iniziarono a portare le famiglie nel campo di Berlino Marzan, da cui dopo poco
verranno portati ad Auschwitz e uccisi. Quelli che furono maggiormente colpiti
furono i bambini. Come quelli che finirono nell’orfanotrofio di Mulfingen, per
essere studiati da Eva Justin, assistente di Robert Ritter direttore
dell’”ufficio igiene razza” che fu aperto nel 37 per trovare una risposta
scientifica al genocidio. Furono tutti portati a morire ad Auschwitz. Si salvò
solo una bambina che una suora riuscì a salvare dandole un ceffone poco prima
che salisse sull’autobus. “Tu non vai perché sei malata, non puoi andare in
gita”, le disse. Queste sono alcune delle storie raccontate nel documentario del
progetto Tracer “Memorijako Drom”, che significa “tracce di memoria”.
Ad Auschwitz furono deportati circa 23mila sinti e rom. Di questi 21mila sono
stati uccisi.
Circa 10mila erano bambini, 380 nati nel campo. Lì Mengele aveva la sua baracca
dove faceva i suoi atroci esperimenti. Pochi sanno che furono numerosi i Romanì
che, scampati dalle deportazioni di massa, si unirono alla Resistenza. La loro
conoscenza dei territori, soprattutto di quelli dell’Europa orientale, li rese
indispensabili come staffette, per non parlare della loro capacità di lavorare
in gruppo e della loro forza.
Nel bel mezzo dei laboratori di Tracer, come una specie di monito verso chi non
ha memoria, accade un fatto terribile: la morte della piccola Michelle di 6
anni, folgorata dalla corrente elettrica il 13 gennaio 2024 nel campo di via
Carraffiello a Giugliano in Campania. Per molti di noi, rom e non rom, non si
può considerare un incidente. È la diretta conseguenza di un sistema che ha
relegato centinaia di persone a vivere in condizioni talmente disumane che il
vero miracolo è che notizie del genere non ci colpiscano come pugni ogni giorno.
La responsabilità della morte di Michelle ricade su tutte le amministrazioni
pubbliche, sui governanti, sui politici e su un’intera collettività che
consentono che a pochi passi dalle proprie case, accanto ai campi coltivati di
frutta e verdura che finiscono nei mercati e sulle tavole di tutti, famiglie
composte per lo più da giovani adulti, adolescenti, bambini, vivano
arrangiandosi come possono, appena raggiungendo la soglia della sopravvivenza,
in un divario di disuguaglianza inaccettabile che dovrebbe generare una rivolta
permanente.
La storia del passato si intreccia con la storia presente, in questa maniera
crudele ma rivelatrice. Di fatto, da generazioni, intere comunità rom vengono
ripudiate, isolate, disprezzate, annullate, isolate. Con i giovani del gruppo di
Tracer, alcuni dei quali abitanti di quel campo di Giugliano che vengono
letteralmente bloccati dalle forze dell’ordine e con difficoltà riescono a a
raggiungere i laboratori, iniziamo a riflettere più concretamente sui
parallelismi tra passato presente e futuro, sulla esigenza di ricordare
ricostruire e non dimenticare, sulle ripercussioni concrete nella vita di tutti
i giorni di politiche scellerate che ci sembrano così lontane, e invece.
Ripercorriamo insieme ai giovani di Tracer e ai ragazzi con cui facciamo i
laboratori, le storie delle comunità rom mentre ci avviciniamo alla Giornata
della Memoria che diventa una commemorazione molto più comprensibile e sentita
di quanto non sia mai stata.
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MONO CROMATICO
A SCAMPIA IL MURALES DI MONO CARRASCO: L’ARTISTA CILENO CHE FA PARLARE I MURI
“Con il mio muralismo cerco di rappresentare una società dove ognuno ha diritto
ad essere persona”. Mono Hector Carrasco, 70 anni, grafico, muralista, promotore
culturale, fuggito dal Cile di Pinochet, definisce così la sua arte. E una delle
sue opere colora ora uno dei muri di Scampia, in particolare una facciata della
scuola Pertini in via Fratelli Cervi. Mono l’ha dipinta insieme agli alunni
della scuola e a quanti hanno voluto partecipare, perché “non importa saper
disegnare, è l’idea quella che conta”.
IL MURALES DI MONO CARRASCO A SCAMPIA: TRA PERTINI E NERUDA I SOGNI DEI BAMBINI
Così dall’ 8 all’11 novembre mono carrasco ha dipinto con i suoi colori vivaci
il muro della scuola di Scampia. Il primo giorno, aiutato dagli alunni della
scuola ha preparato il muro con la pittura bianca. La sera ha proiettato il
disegno e, insieme a un gruppo di volontari, ne ha tracciato i contorni. Il
sabato e la domenica poi è stata la volta del colore in compagnia si un gruppo
di volontari, abitanti di Scampia. Il lunedì la grande festa con l’inaugurazione
del murales sotto gli occhi stupiti degli alunni della scuola. Quel muro grigio
dell’edificio ora ha lasciato lo spazio al volto di Sandro Pertini, su un lato,
e di Pablo Neruda dall’altro. “In mezzo ci sono i sogni dei bambini”, ha detto
Mono. E il colore spicca anche nelle giornate più grigie.
“La cosa che mi ha colpito subito è che la scuola si chiama ‘Sandro Pertini’ –
ha raccontato l’artista cileno – Per me è stato lui uno dei migliori presidenti
dell’Italia. Nel 1973, quando era presidente della Camera dei Deputati, fu il
primo politico a fare un discorso di solidarietà con il popolo cileno contro la
dittatura, per la libertà del nostro popolo”. Così l’artista ha deciso di
dipingere su un muro il volto iconico di Sandro Pertini, sull’altro Pablo
Neruda. “Quest’anno si compiono i 100 anni dalla prima edizione di un libro del
nostro poeta Premio Nobel, Pablo Neruda, ‘Venti poesie d’amore e una canzone
disperata’”. In mezzo ci sono i giochi dei bambini, i loro sogni. E soprattutto
ci sono bambini sorridenti di ogni popolazione. “Questo perché anche la società
italiana sta diventando multietnica ed è la strada giusta: una società non
razzista dove ognuno abbia diritto ad essere persona. E questa è una cosa
fondamentale”.
Alla realizzazione del murales sul muro della Pertini hanno partecipato i
bambini della scuola e tutte le persone del quartiere che hanno deciso di
contribuire a questa opera. “Per me i murales sono arte collettiva – ha spiegato
il muralista – nel senso che la gente non viene sono a dipingere
collettivamente. Io faccio partecipare tutti anche alla stesura del progetto da
dipingere. Anche nel caso del murales di Scampia è successo così: io ho inviato
un bozzetto che poi è stato condiviso tra le persone del posto e ognuno ha dato
una sua opinione. Con quelle idee io ho arricchito il mio progetto, ho fatto in
modo che questo bozzetto potesse contenere le opinioni degli altri, di tutti”.
CHI È MONO CARRASCO, LA STORIA DEL MURALISTA CHE FA PARLARE I MURI
Eduardo “Mono” Carrasco, nome clandestino e provvisorio, cui vero nome è Héctor
Carrasco, è nato a Santiago del Cile nel 1954. È arrivato in Italia nel 1974,
espulso dalla dittatura di Pinochet. Mono racconta che, insieme a un collettivo
di muralisti, erano diventati sgraditi alla nuova dittatura cilena per quello
che disegnavano sui muri e per il messaggio di libertà che questi trasmettevano.
Per questo motivo fu tra gli espulsi dal Cile e le opere del collettivo vennero
brutalmente cancellate. “È un raro caso al mondo di arte totalmente eliminata”,
ha detto Mono.
Per 16 anni gli è stato vietato di tornare in Cile. “Mi avevano tolto anche la
cittadinanza – continua il racconto il muralista – avevo un passaporto
stranissimo che rilasciava le Nazioni Unite, quello per gli apolidi. Si chiamava
‘carta di viaggio’ ma non la conosceva nessun poliziotto. Ogni volta che mi
fermavano perdevano ore a capire chi ero. Non c’era internet, facevano tutto per
telefono”. Una volta arrivato in Italia, con un gruppo di cileni ha continuato a
fare murales “per tener viva la solidarietà delle istituzioni e del popolo
italiano per il popolo cileno, per la libertà e la riconquista della democrazia
in Cile. Abbiamo iniziato a dipingere i muri delle città, partendo da Milano,
Bologna, Roma e altre ancora”. Mono e i suoi si sono spinti anche in altre città
d’Europa, ridando voce, attraverso i colori, alle periferie, ai diritti e alle
idee. “Andiamo nei luoghi dove la gente fa fatica a vivere – continua Carrasco –
dove la sofferenza è lampante”.
Una volta tornata la democrazia in Cile, Mono è tornato a casa, e ha ripreso in
mano i pennelli. “Ho colorato le periferie, soprattutto i quartieri dove viveva
la gente più povera – ha continuato – L’ho fatto anche a Pedro Aguirre Cerda,
sobborgo di Santiago, dove ho manifestato una forma di solidarietà concreta,
attraverso i murales, per chiedere materiale scolastico per tutti: il paradosso
è che in alcune di queste periferie cilene c’è la scuola ma le persone non hanno
i soldi per comprare matite e quaderni”.
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“L’ARTE MURARIA DEVE PORTARE UNA PROPOSTA”
Per Mono Carrasco l’arte muraria ha un grande valore sociale, non solo in
periferie come Scampia ma ovunque. “Sicuramente – ha concluso Carrasco – in
quartieri con le stesse problematiche che ha Scampia, come a Pedro Aguirre Cerda
in Cile, come Quarto Oggiaro a Milano, l’arte dovrà giocare un ruolo
preponderante per abbellire questi posti ‘brutti’, per modo di dire. Ma queste
opere devono portare un discorso concreto, una proposta. Senza pensare che il
murales risolva i problemi, ahimè. Ma certamente possono, attraverso i disegni e
i colori, abbellire e portare una proposta per far sì che queste situazioni
possano cambiare”.
SCAMPIA DAI ROMANI ALLE VELE
SCAMPIA, CONOSCERE IL PASSATO PER CAPIRE IL PRESENTE: LA STORIA DAI ROMANI ALLE
VELE
Quante storie nascoste si celano dietro i luoghi che conosciamo oggi come
periferie? E se quartieri come Scampia avessero radici più antiche e nobili di
quanto si possa immaginare? “È molto, molto importante ricostruire la storia dei
territori, soprattutto quando si parla di periferie come Scampia, in via
diacronica, quindi dall’età antica ad oggi. È importante cercare di recuperare i
vari piccoli tasselli per provare a ricomporre un puzzle per cercare di ridare
quella dignità che talvolta non hanno più”. Ne è convinta Mara Amodio, classe
1972, archeologa, attualmente ricercatrice presso l’Università degli studi
“L’Orientale” di Napoli e già docente presso l’I.T.I. Galileo Ferraris di
Scampia. Ne è convinta anche la redazione del “MOSS – Ecomuseo Diffuso” ed è
proprio per questo che ha deciso di andare ad indagare sulle origini di Scampia.
IL PERCORSO DI INCHIESTA DELLA REDAZIONE MOSS
L’esigenza di cercare le nostre origini e scavare nel passato del quartiere
nasce dall’osservazione di ciò che Scampia è diventata oggi. Solo conoscendo il
passato si può comprendere appieno il presente, ed è per questo che abbiamo
deciso di iniziare dalle origini. Il nostro obiettivo è continuare questo
percorso per esplorare e raccontare le diverse epoche del quartiere: dalle sue
radici greco-romane, alla Scampia medievale, fino al 1962, anno segnato da una
legge, la 167, che ha lasciato un’impronta significativa sul territorio. E poi,
le Vele: il loro progetto, la costruzione, i crolli e l’abbandono, ultimo
capitolo di una lunga serie di cambiamenti epocali che è necessario comprendere
per immaginare un futuro migliore.
Abbiamo avviato questa indagine sociale consultando l’Archivio Storico di
Napoli, visitando la Villa Romana di via Tancredi Galimberti intervistando
esperti come la professoressa Amodio, e raccogliendo testimonianze preziose da
figure come Mirella La Magna e Aldo Bifulco, custodi di storie tramandate e
testimoni diretti delle trasformazioni del quartiere. Questo lavoro è importante
perché ci permette di dare voce a un territorio spesso frainteso o dimenticato.
Scampia non è solo il presente di cui si parla frequentemente in modo negativo,
ma è anche il risultato di secoli di storia, trasformazioni e stratificazioni
culturali. Abbiamo deciso di intraprendere questo percorso perché crediamo
fermamente che conoscere il passato renda una comunità più consapevole e
preparata a costruire il futuro che desidera. Raccontare Scampia significa
ridare dignità a un quartiere, mostrando che dietro le sue difficoltà si cela
un’identità forte e complessa, che merita di essere conosciuta e valorizzata.
LE ORIGINI GRECO-ROMANE DI SCAMPIA
Scampia è il quartiere più giovane di Napoli. Lo è sia per la media dell’età
della popolazione, sia per le sue costruzioni relativamente recenti. Cercando e
studiando, abbiamo scoperto che il quartiere, situato nell’area Nord della
città, ha origini più antiche di quanto si possa pensare. Come se il presente
fosse stato troppo ingombrante su questo territorio da far dimenticare il
passato che riaffiora con prepotenza in alcune strade, come succede, ad esempio,
con i resti della Villa Romana. Il cemento, negli anni, ha cercato di
soffocarli, di sopprimere quella memoria che però quelle poche pietre rimaste in
mezzo all’asfalto, hanno reso indelebili. Siamo partiti da qui quando ci siamo
chiesti come fosse Scampia all’epoca di quella Villa. E cosa sono quelle rovine.
Abbiamo immaginato come potesse apparire quello stesso luogo all’epoca dei
romani.
Per farci meglio una idea abbiamo chiesto alla Professoressa Amodio, che da anni
svolge attività di ricerca e studio sul territorio di Scampia e zone limitrofe,
di aiutarci a ricomporre i pezzi di quella storia antica che nessuno ricorda
più.
PERCHÉ SCAMPIA SI CHIAMA COSÌ
Ci sono varie teorie sull’origine del nome “Scampia”: infatti in napoletano,
verace, con il termine “Scamp” si indica un campo da coltivazione e sappiamo per
certo che il terreno dell’attuale ottava municipalità era molto fertile. Altra
teoria interessante vede il quartiere prendere il nome da una Masseria, sita tra
i casali di Secondigliano e Melito, chiamata “La Scampia”. Nello specifico
Scampia faceva parte del territorio extraurbano rispetto all’antica Neapoli,
questo territorio era molto fertile e quindi interessata dalla presenza di ville
rustiche dedite all’agricoltura e al pascolo del bestiame. Era interessata dal
passaggio delle strade che collegavano Capua ed Atella. “Qui sono stati
rinvenuti resti di ville romane come quella in via Tancredi Galiberti – ha detto
Amodio, continuando – Così come un’altra, ben conservata, si trova poco lontano,
a Cupa Marfella a Marianella”. La Villa di Cupa Marfella a Marianella, scavata
dopo il terremoto degli anni ’80, si conserva in modo molto articolato in tutti
i loro vani e strutture e ci dà anche un’idea di come si producevano all’epoca
prodotti come l’olio e il vino. “Dall’analisi di questi resti, si può capire
come la vita sia cambiata dall’età romana all’alto Medioevo”.
LA NECROPOLI ELLENISTICA
Una delle scoperte più importanti fatte sul territorio è proprio una necropoli
ellenistica, ovvero resti di tombe di vari materiali, nella zona di fronte al
carcere di Secondigliano. Quest’ultima è stata rinvenuta nella seconda metà del
900’, ma solo pochi anni fa in località Case Vecchie, sempre a Scampia, sono
stati ritrovati resti frammentari di una villa rurale. “I resti della villa
Romana di via Galimberti – ha continuato la ricercatrice – anche se molto
esigui, grazie anche alle tante testimonianze delle fonti letterarie, ci dicono
che era sicuramente una fattoria. In genere le ville rustiche che appunto erano
dedite alla produzione agricola in questa zona, non erano di grandi dimensioni,
erano in genere ville monofamiliari legate ad una produzione per l’uso della
famiglia e magari per una piccola vendita al mercato locale”.
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DALLE VILLE ROMANE AL MEDIOEVO
Scavando all’interno dell’Archivio di Stato di Napoli abbiamo trovato due
documenti significativi per la nostra inchiesta. Uno strumento di vendita,
datato 12 giugno 1608, relativo al passaggio di un canone su una masseria
chiamata “La Scampia” da Cornelia di Sangro a Placido di Sangro, situata tra i
casali di Secondigliano e Melito; e una “Pianta della terra Scampia et
seminatoria” venduta da Giulio Taglialatela a Giovanni Francesco Altomare nel
1583, localizzata nella zona di Gaudo, Napoli.
Sulla fase medievale del Casale di Piscinola, limitrofo a Scampia, si sa molto
poco ed è difficile ricostruire l’aspetto di luoghi in quell’epoca. Secondo
quanto ricostruito da Franco Biagio Sica nel volume dal titolo “Viaggio nella
mia terra. Memoria storica sul Casale di Piscinola” (Napoli, 1989), possiamo
affermare con sicurezza che in questo territorio vi erano almeno due chiese. Una
dedicata al martire San Sossio, processato insieme a San Gennaro nel 305 a
Pozzuoli, attualmente patrono di Miseno e un’altra chiesa dedicata al Salvatore,
vari documenti databili dal X al XIII secolo ci informano che il territorio era
detto Terra del Salvatore. Questo nome deriva dal fatto che vi erano presenti
delle “grance”, cioè appezzamenti di terreno coltivato, appartenenti ai così
detti “monaci del Salvatore” non altro che i monaci benedettini che vivevano in
un monastero a Napoli posto “nell’isola del Salvatore” (dove ad oggi è ubicato
il Castel dell’Ovo).
Infine dei documenti databili dalla fine del XV al XVIII secolo, attestano che
vari monasteri napoletani, come quello di Santa Patrizia, Sant’Agostino Maggiore
alla Zecca e San Giovanni a Carbonara, avevano terreni di proprietà tra il
Casale di Piscinola e Scampia.
SCAMPIA, UNA STORIA ANTICA DA CONOSCERE
All’epoca degli antichi romani, Scampia era un territorio a vasta vocazione
agricola, una caratteristica che è rimasta ancora oggi. Infatti, Scampia è
ancora il quartiere più verde di Napoli. Un verde che, però, paradossalmente è
spesso abbandonato o negato. Un esempio lampante di questo è la Villa Comunale,
chiusa al pubblico da molti mesi senza una spiegazione apparente. Questo
paradosso tra la Scampia agricola del passato e la Scampia verde ma trascurata
del presente è un segnale di un territorio che, nonostante la sua storia e la
sua potenzialità, continua a soffrire di abbandono e disinteresse. È proprio su
questo che la nostra redazione vuole indagare, cercando di capire le ragioni di
tale stato. Per non restare passivi di fronte a fenomeni che ciclicamente si
abbattono sul quartiere, negando ai cittadini il diritto di vivere al meglio il
proprio territorio.
di Pasquale Frattini
IRENE FERRARA
IRENE FERRARA, LA “MAST ‘E FEST” DI SECONDIGLIANO: “IL SUCCESSO PIÙ GRANDE?
ESSERE UNA BRAVA PERSONA”
La nostra prima intervistata è Irene Ferrara, nata e cresciuta a Secondigliano,
uno dei quartieri della periferia di Napoli. Dopo aver conseguito la laurea in
‘Scienze della Comunicazione’ presso l’Università degli Studi ‘Suor Orsola
Benincasa’, Irene ha intrapreso la carriera di DJ, o come si descrive lei
stessa, ‘Mast e fest’. “Durante l’università ho fatto uno stage in una radio nei
pressi di Secondigliano. Mi dissi: ‘perché non provarci?’”. E così è iniziata
una carriera nella musica e nell’organizzazione di eventi che l’ha portata a
collaborare con diversi artisti di fama nazionale e internazionale, tra cui
Snoop Dogg, Chris Brown, Planet Funk, Almamegretta e 99 Posse. La sua musica ha
animato eventi di rilevanza internazionale. “La periferia mi ha portato davvero
bene – ha detto – Sono nata a Secondigliano, lì ho incontrato la radio per la
prima volta ed è da lì che è tutto iniziato”.
DALLA RADIO DI SECONDIGLIANO AI GRANDI PALCHI INSEGUENDO LA PASSIONE
“Chiaramente, all’inizio, era visto come un lavoro precario, quindi mi dissero
che dovevo viverlo come una passione. Era così anche per me, non era una vera
forma di sostentamento”. La famiglia di Irene però comprese quella passione e la
sua volontà di intraprendere una carriera nell’ambito musicale. “Penso che il
mio ambiente sia uno dei più autentici – ha continuato dicendo – c’è molta meno
competizione di quanta ce ne sia in molti altri lavori”.
“IO SONO NATA NEL BORDELLO DI SECONDIGLIANO, SOLO DA LÌ POTEVO USCIRE COSÌ”
“Secondigliano ha indubbiamente influenzato la mia vita, soprattutto sulla
qualità dei rapporti che ho avuto – ha detto – A Secondigliano c’è un’altra
aria, è casa, è famiglia. In periferia si sente che c’è voglia di fare squadra.
Non sei mai solo”. Irene ha ricordato la sua infanzia a Secondigliano fatta di
spensieratezza e sabati pomeriggi al cinema “quello con le poltrone scomode”. E
poi il circolo di Rifondazione proprio di fronte casa. “Era per noi un ritrovo
di amici – ricorda – scaricavamo musica perché a casa non avevamo nemmeno il
computer. Lì condividevamo anche questo. Erano bei momenti”. Oggi non abita più
lì, per esigenze lavorative si è spostata in centro, ma è lì che sono le sue
radici. “Fortunatamente Secondigliano era sempre pieno di gente, semplicemente
un quartiere di bordello e solo da lì potevo uscire”.
Guardando al suo quartiere oggi, Irene riconosce che è molto cambiato: tante
cose sono migliorate e tante attività sono state aperte. “Torno spesso a
Secondigliano perché parrucchiere e dentista non si cambiano mai – scherza – Lo
trovo più sicuro e più vivo. Ci sono tante attività. I mezzi pubblici funzionano
meglio e tra poco ci sarà anche un’altra metropolitana. La trovo vivibile, con
prezzi abbordabili e c’è quel pezzo di umanità dai tempi calmi, come le signore
che vanno a fare la spesa, che in centro non vedo. Anche io, per esempio, ora
abito a un passo dal mare ma non lo vedo mai. Lo scorgo solo se sto andando a
fare un’altra cosa.
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“MI SONO ISPIRATA A ME STESSA”
“Trovarmi a stretto contatto con i miei idoli, tra tutti Cristina D’Avena, mi ha
emozionato tantissimo- ha raccontato Irene, seduta sul divano di casa sua con le
gambe incrociate – quegli episodi li ricordo con particolare emozione. Già solo
per quello ho capito che ne valeva la pena”. E la sua casa è piena di piccoli
oggetti, foto e ricordi, che raccontano la sua vita, la sua storia e le sue
passioni.
“Forse mi sono autoisprata”, ha detto. Durante l’intervista ci ha raccontato di
aver visto dei suoi video, nel pieno delle crisi esistenziali a fine percorso
universitario, dove ballava e cantava e delle playlist da lei create e così ha
deciso di buttarsi. Lo ha fatto poiché crede che “vivere per quello che sei
portato a fare, quello che ti fa felice, è fondamentale”. Di certo, durante i
nostri percorsi di studi o nella nostra carriera lavorativa, cerchiamo di
ottenere successo, puntando sempre a raggiungere il massimo nel nostro campo. Ma
che cos’è realmente il successo? Per Irene è “sicuramente essere una brava
persona – ha aggiunto – svegliarsi e capire di star facendo le cose in maniera
giusta per me, restare fedele a me stessa, senza ingannarmi. Il successo più
grande è la serenità”.
“TORNARE ALLE ORIGINI SAREBBE UNA BUONA TERAPIA PER RISOLVERCI”
Irene racconta di non avere un oggetto porta fortuna perché non è legata agli
oggetti, ma di una cosa non può fare mai a meno: la pinza per i capelli. “Sono
vanitosa ma mi piace scatenarmi in console, ed è per questo che con me non
mancano mai un paio di pinze per i capelli”. Durante tutta l’intervista, come da
noi richiesto, Irene ha disegnato su un foglio. Le abbiamo chiesto di
rappresentare con un simbolo questo momento della sua vita. Lei ha disegnato un
fiore. “Mi piace la natura, sono appassionata, sono anche vegetariana – ha
spiegato – e poi per me rappresenta un ritorno alle origini. Tornare alle
origini, intese come un ritorno alla semplicità, sarebbe una buona terapia per
risolverci all’interno. È un augurio che faccio anche a me. Non è una cosa
semplice”.
Irene Ferrara ci ha salutati con l’augurio di rivederci presto e di organizzare
una serata al MOSS – Ecomuseo diffuso di Scampia: “Portiamo la musica dentro i
musei, organizziamo una bella festa all’ecomuseo”. E noi saremmo felicissimi di
scatenarci sulle sue note. La carriera di Irene Ferrara è solo una delle tante
che vogliamo raccontarvi. Siamo già al lavoro per portarvi e raccontarvi altre
storie di persone che ce l’hanno fatta. Persone di successo, ma un successo
inteso proprio come lo descrive Irene: un successo che non è altro che la
soddisfazione e l’onestà personale.
10
DICEMBRE
IUMANS OV SCAMPEEA
MONO CROMATICO
L’artista cileno che fa parlare i muri
MOSS
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5
DICEMBRE
IUMANS OV SCAMPEEA
SCAMPIA DAI ROMANI ALLE VELE
Scampia, conoscere il passato per capire il presente: la storia dai romani alle
Vele
MOSS
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STRA-ORDINARI
STORIE DI STRAORDINARIA QUOTIDIANITÀ
È VERO CHE IL NOSTRO DESTINO È SEGNATO DAL CONTESTO IN CUI NASCIAMO?
LA NASCITA DI STRA-ORDINARI
La redazione del ‘MOSS Ecomuseo diffuso’ ha cercato di rispondere a questa
domanda: davvero nascere in una periferia difficile, invece che in un quartiere
più favorevole, può determinare il nostro futuro? Questa è una domanda che già
in passato veniva collegata al concetto di determinismo sociale, secondo cui le
circostanze in cui nasciamo influenzano inevitabilmente la nostra vita. Però,
oggi sappiamo che non è così semplice. Sebbene crescere in un ambiente con poche
opportunità possa rendere tutto più difficile, non vuol dire che il nostro
destino sia già scritto. Ogni persona ha la possibilità di cambiare strada, di
superare le difficoltà e di creare un futuro diverso.
Per questo motivo nasce questa rubrica: intervisteremo persone che sono nate in
contesti simili e che sono riuscite a intraprendere carriere straordinarie nella
loro ordinarietà. Queste storie sono un modo per sfidare gli stereotipi,
mostrando che, nonostante le difficoltà e i contesti difficili, è possibile
seguire la propria passione e raggiungere risultati autentici. In ogni storia,
l’obiettivo non è solo quello di raccontare di chi ha avuto successo, ma di
sottolineare il valore delle scelte personali, della perseveranza e della voglia
di migliorarsi ogni giorno.
5
DICEMBRE
STRA-ORDINARI
IRENE FERRARA
La DJ di Secondigliano
MOSS
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LABORATORIO DI
AUTONARRAZIONE E STORYTELLING
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LABORATORIO DI AUTONARRAZIONE E STORYTELLING
A CURA DI
Concetta Celotto, Peppino Delia
DATE
marzo-maggio 2023
AUTONARRAZIONE E STORYTELLING
Il laboratorio di narrazione si è configurato come una importante occasione per
gli student* di parlare di sé, della propria famiglia e del contesto abitativo e
sociale in cui vivono.
Testimonianze, racconti e storie che costituiscono quel patrimonio immateriale
di cui, tra le altre cose, si sostanzierà l’Ecomuseo di Scampia. Gli student*
sono stati invitati e stimolati alla riflessione su temi di storia personale e
collettiva e sono stati resi partecipi, in qualità di protagonisti, di un
processo di costruzione ideale e materiale – attraverso gli oggetti donati
all’Ecomuseo – dell’ambizioso progetto museale.
Non solo hanno raccontato di sé stessi, ma hanno anche fatto parlare i genitori
e attraverso tutte le testimonianze raccolte, come tanti tasselli di un puzzle,
si è ricostruito l’identikit del territorio in uno dei suoi elementi fondanti,
quello delle persone che lo vivono e lo attraversano. Molto importante è stato
tutto il lavoro preliminare di analisi e spiegazione di cosa significhi un
ecomuseo e del ruolo fondamentale che loro, in quanto attori e attrici del
territorio, svolgono nella costruzione del progetto.
Gli output del workshop laboratoriale sono stati i taccuini, su cui i ragazzi e
le ragazze hanno raccontato di sé e del quartiere, una installazione fotografica
dove a ogni volto degli studenti e studentesse ritratte risponde una parola
chiave associata alla riflessione su Scampia, e infine un podcast realizzato con
le interviste fatte in famiglia dagli alunni e alunne elle scuole coinvolte.
CON LA TESTA TRA LE NUVOLE
I taccuini sono le tessere di un grande puzzle. Ognuno racconta un pezzetto di
vita, i sogni e le visioni di chi lo ha scritto: le studentesse e gli studenti
di Scampia. Si interrogano su loro stessi, le loro passioni e i desideri.
Rispondono a domande sulla scuola e sul quartiere: cosa è bello, cosa è brutto,
quali cambiamenti auspicano. Ma anche pensieri in libertà, senza un ordine,
perché la vita dei ragazzi e delle ragazze è un caleidoscopio di luci e colori.
Dai frammenti si compone un quadro più grande, una tela gigantesca che raffigura
l’immagine di una gioventù vissuta tra le potenzialità e i limiti di un
paesaggio di periferia.
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Le reti metalliche messe a protezione delle aule del plesso scolastico sono
metafora della gabbia di stereotipi che è stata calata sul quartiere di Scampia
ormai da decenni. Una gabbia che è stata costruita negli anni seguendo il
canovaccio comune a tante narrazioni su quartieri metropolitani popolari e
periferici: tratti comportamentali distintivi di una minoranza rumorosa di
persone assunti a genetica dell’intera popolazione del quartiere.
La vita reale di Scampia (che contiene innegabilmente anche questi tratti,
generalmente violenti e non curanti del bene comune), è stata ridotta a un
racconto in episodi sempre uguali fra loro e si è cristallizzata sugli schermi
dei televisori e delle altre tecnologie digitali.
Le/gli alunne/i della Scuola Media Pertini di Scampia sono nati dentro questa
gabbia di stereotipi: come tanti altri loro coetanee/i, però, percepiscono le
sbarre e i reticolati della gabbia e comprendono la differenza fra la realtà
delle loro vite e dei loro desideri e la riduzione mediatica di Scampia a cui
tutti loro sono assoggettati e attraverso la quale tutto il mondo esterno al
quartiere li identifica.
In Out of the Cage, queste/I giovani abitanti di Scampia raccontano questa
differenza e esprimono un punto di vista interno, emico, che sta dietro e
davanti le sbarre e i reticoli ignorando la gabbia. Le loro voci pongono dubbi
sulla narrazione mediatica di Scampia e creano crepe sugli schermi. I devices
non sono più touch. E allora, l’invito è di toccare il mondo in senso analogico
e corporeo, di toccare con le dita queste fotografie, ascoltare l’intimità delle
vite e di vivere nelle crepe.
OUT OF THE CAGE
CREPE E ALTRI MODI DI TOCCARE SCAMPIA
OUT OF THE CAGE È UN’INSTALLAZIONE AUDIO-FOTOGRAFICA D’INTERATTIVITÀ ANALOGICA
NATA DURANTE IL LABORATORIO DI AUTONARRAZIONE E STORYTELLING CON LE/GLI ALUNNE/I
DELLA SCUOLA MEDIA PERTINI DI SCAMPIA.
MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
OUT OF THE CAGE - Atteggiamenti stereotipati
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MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
OUT OF THE CAGE - Fatti di camorra
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MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
OUT OF THE CAGE - Lo spaccio
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MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
OUT OF THE CAGE - Una festa inutile contro la mafia
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MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
OUT OF THE CAGE - Panorama Energia e Vrenzole di Scampia
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MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
OUT OF THE CAGE - Cattiveria e irresponsabilità
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MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
OUT OF THE CAGE - Cuore passione e la cura delle associazioni di Scampia
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MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
OUT OF THE CAGE - Furbizia
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MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
OUT OF THE CAGE - Esprimersi e fare spettacolo a Scampia
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MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
OUT OF THE CAGE - Scampia accogliente
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MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
OUT OF THE CAGE - Scampia maltrattata e vittima di pregiudizio
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MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
OUT OF THE CAGE - Scampia simpatica e verde
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DAL BASSO, DIREZIONE INTERNA
PODCAST DI RESTITUZIONE DELLE INTERVISTE FATTE DALLE/GLI ALUNNE/I AI LORO
GENITORI
Questo podcast presenta le voci dei genitori delle scuole elementari e medie
degli IC Montale e Pertini-Guanella di Scampia.
È un podcast imperfetto, asciutto, privo di edulcorazioni editoriali che lascia
spazio, per una volta, ai timbri e alle inflessioni delle voci reali degli
abitanti di Scampia. Il racconto che costruiscono coralmente viene dal basso, da
dentro le case che abitano con i loro figli.
Anche le contraddizioni sono libere di segnare i vari punti di vista esistenti
nella sfaccettata realtà di Scampia.
Tutte le interviste sono state raccolte durante il laboratorio di Autonarrazione
e Storytelling dalle/gli alunne/i delle due scuole, con l’impegno e la curiosità
di chi non si accontenta più di essere raccontato.
Montaggio realizzato da Peppino Delia
MOSS - Ecomuseo Diffuso Scampia
Podcast - DAL BASSO, DIREZIONE INTERNA
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CONCETTA CELOTTO
Scrittrice e giornalista
PEPPINO DELIA
Videomaker e artista crossmediale
MEMORY
LE SCATOLE DELLA MEMORIA
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MEMORY | LE SCATOLE DELLA MEMORIA
A CURA DI
Concetta Celotto, Marco Cecere
DATE
marzo-maggio 2023
MEMORY
LE SCATOLE DELLA MEMORIA
Il patchwork dei ricordi. L’installazione è come una fotografia materica e
concreta di una memoria collettiva nata dall’incontro dei diversi ricordi
personali.
Ogni ragazza e ogni ragazzo racconta di sé e della propria storia attraverso un
oggetto, una cosa importante che gli appartiene, che lascia la solitudine della
propria cameretta per unirsi ai ricordi delle altre e degli altri e comporre un
unico grande racconto. Un incontro fecondo perché genera significati nuovi che
scaturiscono dal senso che ogni oggetto racchiude in sé: il ricordo di un evento
particolare, il regalo di una persona cara, un gioco di quando si era bambini.
Le parole e i concetti segnate su ogni scatola girevole esprimono un sentire
comune che, come un filo robusto, unisce e risignifica, arricchendoli, i vissuti
personali.
Ogni parola è spiegata dai pensieri, incisi sulle scatole, delle studentesse e
degli studenti che hanno condiviso idee e sentimenti.
Il laboratorio ha previsto due momenti diversi: uno iniziale di discussione su
cosa siano le scatole delle memoria e sul valore che hanno come testimonianza e
racconto di vite, l’altro di realizzazione pratica e manuale dei box di legno.
La prima fase del laboratorio è stata anche dedicata all’analisi degli oggetti
donati all’Ecomuseo, alla ricerca di un elemento concettuale comune da cui si è
fatto derivare una parola chiave, che ha poi identificato ogni singola scatola.
Gli student* hanno lavorato all’assemblaggio delle scatole, hanno incollato i
loro oggetti, suddivisi in gruppi nati dagli elementi comuni venuti fuori dalla
discussione sugli oggetti. Si è proceduto a decorare la scatola con pennelli e
con la tecnica dello stencil.
CONCETTA CELOTTO
Scrittrice e giornalista
MARCO CECERE
Architetto e artigiano
LABORATORIO DI
CREATIVITÀ URBANA
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LABORATORIO DI CREATIVITÀ URBANA
A CURA DI
INWARD
DATE
febbraio-aprile 2023
CREATIVITÀ URBANA
Il “Laboratorio di Creatività Urbana” condotto dall’Associazione Culturale
“Arteteca”, attraverso il proprio team INWARD – Osservatorio Nazionale sulla
Creatività Urbana nell’ambito del progetto promosso dall’associazione “Chi rom e
chi no” in collaborazione con altre numerose realtà territoriali, sostenuto dal
Comune di Napoli – PON Metro “I Quartieri dell’Innovazione”, si è svolto, presso
l’Istituto “Melissa Bassi” di Napoli, dal 27 febbraio al 26 aprile 2023, previa
presentazione alle classi e ai professori avvenuta in data 16 febbraio 2023.
In questi due mesi, giovani student* hanno potuto rileggere e rivalutare il
proprio territorio partendo dalla conoscenza degli interventi locali di
creatività urbana, anche al fine prossimo di guidare curiosi, visitatori e
turisti verso nuovi itinerari culturali di quartiere.
Il percorso, condotto da Silvia Scardapane, coordinatrice INWARD, con la
partecipazione di Federica Matano e Francesca Mincione, volontarie di Servizio
Civile Universale per Arteteca/INWARD, è stato suddiviso in tre momenti di
condivisione e apprendimento: partendo dall’introduzione di elementi
cartografici fino all’elaborazione di un sondaggio di comunità per rilevare
memorie storiche e conoscenze territoriali. A seguire, Monica Mongelli,
operatrice culturale INWARD, ha guidato i partecipanti all’allestimento e alla
compilazione di schede tecniche per l’analisi delle opere. Infine, Angelo Di
Pietro, volontario di Servizio Civile Universale per Arteteca/INWARD, ha
confezionato le grafiche e le impaginazioni necessarie alla presentazione.
Agli incontri hanno partecipato anche numerosi creativi napoletani che vivono a
Scampia o che nel territorio hanno operato e di cui sono state raccolte
testimonianze tramite interviste: Biodpì, Come, Giaccio, Gola, Nitro, Raro e
Trisha.
Nel programma sono state inserite anche visite guidate territoriali, a cura di
Mario Civitaquale; il gruppo ha avuto infatti la possibilità di apprendere la
storia e le trasformazioni dello spazio pubblico di Scampia e dei suoi
animatori, partendo dalla visita al Felimetrò presso la Stazione di
Piscinola-Scampia e giungendo al “Centro Mammut”, al “Progetto Pangea” e al
confronto con il gruppo de “La Gatta Blu”.
Con queste attività laboratoriali, si è dato il via alla prima ricerca sulla
creatività urbana di Scampia, raccogliendo informazioni, dati e materiali che
contribuiranno alla costruzione di un archivio digitale.
INWARD - OSSERVATORIO NAZIONALE SULLA CREATIVITÀ URBANA
INWARD è un osservatorio che svolge ricerca e sviluppo nell’ambito della
creatività urbana (graffiti writing, street art e nuovo muralismo), operando con
un proprio modello di valorizzazione nei settori Pubblico, Privato, No profit ed
Internazionale, cui corrispondono le unità operative Governi, Università,
Artisti, Aziende, ACU, Sociale, Europa e Mondo che alimentano il lavoro delle
sue piattaforme permanenti.
OUTPUT DI LABORATORIO
* Presentazione dei risultati
INTERVISTE AGLI ARTISTI
* Intervista a Biodpì
* Intervista a Gola
* Intervista a Nino Come
* Intervista a Raro
* Intervista alla SOB Crew
* Intervista a Teso
* Intervista a Trisha